Ada Sorrentino rivela una ricca cultura pittorica moderna. A prima vista il suo patrimonio culturale sembra denotarsi soprattutto come una sorta di libera e disordinata reattività sensitiva alle forme e ai colori che caratterizzano certi aspetti dell'astrattismo (Mathieu), dell'informale (Fautrier), del materico (Burri). E sembra che, con questa reattività sensitiva, l'artísta si abbandoni ora a questo ora a quello degli incentivi figurali che spontaneamente le si affollano nell'occhio e nella mente fino al punto di lavorare sulla tela con un'avidità che non conosce limiti alla degustazione e al piacere delle forme e dei colori. Insomma una accumulazione elegante e zampillante di pretesti formali tradotta in immagini intercambiabili, di compatta presenza e pregnanza decorativa. (... )
La sensibilità e la passione vengono temperati dal rigore delle scelte, la vivacità della colorazione e lo spessore della pennellata sono trattenuti fino a comunicare di sé più il soffio inventivo e la plasticità che non il puro e semplice azzardo delle tinte o il puro e semplice profilo degli oggetti e degli spazi. Si scopre così che quella cultura pittorica della quale si è detto non si limita in Ada Sorrentino a legittimare le linee di gusto e di aggiornamento del suo lavoro ma costituisce la base di un libero rapporto con la realtà. E' insomma la regola di un linguaggio. Non solo per registrare e recepire, ma per comunicare. Un linguaggio teso, allarmato, dolente, anche quando più le forme ed i colori squillano e indicano a quali felicità perdute o bramate l'artista richiami se stessa e, attraverso la propria lirica meditazione, l'attenzione degli altri.
Ecco: una pittura, più che da interpretare, da guardare, quella di Ada Sorrentino, ma sempre come se da essa, assieme alla chiamata dello sguardo, promani un più occulto e intimo invito ad andare oltre: verso il punto cruciale dove Ada Sorrentino cerca di trasformare la sua pittura da sofferta testimonianza soggettiva in valore oggettivo e duraturo di conoscenza.
Antonello Trombadori, Roma 1980.

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